A chance to survive.

One shot a tema The Walking Dead =)

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  1. Skeeter
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    Ciao ragazze! Ho presentato questa fan fiction per un concorso e non sto nella pelle, non per il concorso in sé ma perché è la prima volta che scrivo qualcosa e la faccio valutare da qualcuno. Ho pensato di condividerla anche con voi, fatemi sapere che ne pensate e non risparmiate critiche e bastonate! xD

    Si tratta di one-shot (c'è un solo capitolo) su The Walking Dead. La protagonista è Judith, la "figlia" del protagonista (c'è ancora un dubbio sull'effettiva paternità). Nello show, Judith è ancora piccola, non avrà più di due anni. La mia storia, invece, la vede adolescente e alle prese con gli orrori dell'apocalisse, sebbene il suo punto di vista sia totalmente diverso visto che non ha mai conosciuto il mondo prima della piaga. Ma bando alle ciance! Ecco a voi "A chance to survive"



    «Dietro di te!» Mi urlò una voce familiare che non ebbi il tempo di riconoscere, sapevo che dovevo pensare poco e agire presto.

    Un viso martoriato mi si parava davanti, non riuscivamo più nemmeno a distinguere se fossero stati uomini o donne. In molti casi non avevano nemmeno più gli abiti, logorati dalle intemperie, questa, però, aveva una collana di perle al collo. Era lurida e con scaglie di pelle morta sopra, ciononostante manteneva intatta la sua bellezza. Non mi lasciai distrarre più di tanto dal gingillo, riuscivo a sentire l'alito della cosa che avevo di fronte, e intendevo continuare a farlo per meno tempo possibile.
    Il pugnale attraversò la dura madre, fino a giungere al cervelletto. Mi chiamavano “il chirurgo” perché, ogni volta, riuscivo a piazzare un colpo preciso. Tutti se la cavavano, certo, non sarebbero stati lì accanto a me altrimenti, ma io ci tenevo a fare un lavoro pulito.
    Mi guardai intorno e mi resi conto che l'emergenza era rientrata. I volti attorno a me erano sollevati ma bui e tetri come la notte.
    Carol poggiò una mano sulla spalla di Maggie, le aveva coperto le spalle pochi momenti prima, si scambiarono un'espressione di muta riconoscenza. Le parole non servivano più da parecchio tempo, ci capivamo al volo ed immaginavo che Carol e Maggie si fossero difese reciprocamente un milione di volte, come tutti noi del resto. Mentre osservavo la scena fui scossa da due mani robuste che conoscevo fin troppo bene.

    «Devi rimanere in formazione, sempre! Dove credevi di andare?» Le parole uscivano veloci e rabbiose, gli occhi dell'uomo, stanchi e iniettati di sangue, erano spalancati e fissi su di me.

    «Papà non mi ero allontanata che di un passo, non mi ero resa conto che vi eravate mossi in avanti» Protestai debolmente, sapevo che alla fine sarebbe stato lui ad avere ragione.

    «Te ne saresti accorta se avessi mantenuto la posizione, hai messo in pericolo te stessa e noi altri, smettila di fare la bambina, Judith».

    Ecco.

    Sconsolata raccolsi la sacca con le pochissime provviste e mi avviai verso la macchina, mi fermai solo un istante. La collana di perle della mia ultima “vittima” catturò nuovamente la mia attenzione. Mi chinai a slacciargliela dal collo, era davvero bella. La infilai in tasca come una ladra.

    «Beccata».
    Scott cercò di sfilarmela trotterellandomi in torno, non ci stava davvero provando, se l'avesse voluta davvero me ne sarei accorta solo dopo.
    La velocità d'esecuzione era la sua prerogativa, silenzioso e rapido riusciva a sgattaiolare ovunque, a colpire nel momento opportuno, un'abilità molto più utile della mia precisione chirurgica che mi richiedeva sempre qualche momento di osservazione. Le abilità da ladro d'appartamento le aveva ereditate tutte dal padre, così come la forma allungata del taglio degli occhi, le iridi verdi chiare, invece, erano quelle di Maggie. Era il più giovane del gruppo, ma mi toglieva il primato solo per poco e come me era l'unico a non aver conosciuto il mondo A.W. Ante-walkers, come lo chiamavamo noi.

    «Che ci devi fare con quella?» Chiese curioso.
    «Pensavo ad un'arma, sai, per strangolarli da dietro». E mimai il gesto digrignando i denti.
    Ci pensò su e poi disse «Forte!» Fece una pausa, un po' confuso, poi aggiunse «Aspetta... ma non li uccideresti!».
    «Ma che perspicacia, ti stavo prendendo in giro. È una collana, io sono una ragazza, è un'associazione così assurda?» Sbuffai.
    Sorrise divertito «Uhm, forse non così assurda, ma l'idea dello strangolamento non è nemmeno tanto male, li rallenterebbe e poi..»
    «In macchina, tutti e due». La voce di mio padre era perentoria, ma non riusciva a smorzare l'entusiasmo di Scott che appena lo ebbe di spalle mimò un saluto militare.
    Soffocai un risolino, non era il caso di far irritare papà ancora di più.

    «Chi cazzo se li aspettava quei mostri nel parcheggio. Stanno diventando più resistenti e più veloci te lo dico io Rick». La voce proveniva dal sedile anteriore del passeggero, Daryl stava armeggiando con la balestra e parlava con una freccia tra i denti, tra quello e i vari insulti era quasi difficile capire quello che dicesse.
    Mio padre aveva lo sguardo fisso sulla strada, sembrava non lo avesse nemmeno ascoltato, invece disse:
    «La base è sicura, le mura sono alte, solide, lì non c'è pericolo».
    Lo ripeteva come una cantilena da mesi, da quando l'avevamo trovata. Si trattava di una caserma militare abbandonata ormai da almeno dieci anni. Non era immacolata, probabilmente altri l'avevano occupata, altri walkers invasa, ma si era trattato sempre di errori umani, non c'erano brecce nelle solide mura di Truman Camp.
    Dopo tanti anni di nomadismo avere di nuovo un tetto sopra la testa non era una cattiva sensazione. Per molto, troppo tempo, ciò che rimaneva del Consiglio si era rifiutato di chiedere asilo agli sporadici gruppi di sopravvissuti che incrociavano il nostro cammino.

    “Sono tutti Erranti, Judith, anche quelli con sembianze umane, sono tutti mostri”.
    È quello che rispondeva mio padre alle mie obiezioni, ma non potevamo isolarci completamente, ogni momento ci indebolivamo sempre di più: Daryl, Papà, Carol, Maggie, Glenn, non sarebbero rimasti forti per sempre.

    “Toccherà a noi prenderci cura di loro, intraprendere le missioni più difficili, proteggerli”

    Ne ero cosciente, così come ero cosciente del fatto che eravamo pochi. Io, Scott e Carl saremmo stati in grado di prendere le redini del gruppo? E che senso avrebbe avuto rimanere in tre? Non avevamo prospettive. Eravamo destinati all'estinzione e tristemente consapevoli di esserlo. Non era questo che volevo, né per me, né per gli altri, ma nessuno sembrava sentir ragioni.

    “Quello che hai visto a Washington è niente rispetto a quello che abbiamo passato, gli uomini sono diventati predatori, mostri assassini. Pensavamo ti avessero uccisa e hai rischiato di morire più volte per mano umana che per gli erranti”.

    Mi avevano raccontato la storia della bambina che voleva trasformarmi, e del pazzo leader con un occhio solo che ci aveva assaltato con un carrarmato. Conoscevo la storia dei cannibali, ricordavo vagamente lo scontro con il gruppo di Houston, il rapimento di Scott, avevo visto umani tentare di ucciderci e noi rispondere con il fuoco. Con gli erranti era facile, sapevi come si muovevano, sapevi che le parole non contavano niente, con i nostri pari, invece, lo spettro di incognite aumentava. Una frase sbagliata riscaldava gli animi, un movimento inconsulto faceva scattare le mani alle armi. Non che ce ne fossero molte in giro ormai, quelle, come il cibo e le medicine o erano fuori dalla circolazione oppure inutilizzabili. Le auto stesse erano una rarità e servivano a poco o nulla.

    La strada arida che stavamo percorrendo era un'eccezione, il mondo era diventato un pianeta verde. La natura, nel corso degli anni aveva lentamente, ma costantemente, riconquistato il suo spazio. Quella che per l'Umanità era stata una piaga, per il mondo vegetale si era dimostrata una rivincita. Negli stati meridionali c'era ancora un minimo di vivibilità grazie alle temperature alte. Ma a nord di Nashville, i pochi sopravvissuti, vivevano al pari di selvaggi, effettivamente non avevano più niente di umano.
    La base era circondata da rampicanti ma all’interno era tutto molto ordinato, avevamo faticato molto per renderla vivibile, l’orto poi era il nostro piccolo orgoglio. Non potevamo più fare affidamento sulle scorte nei supermercati o nei grandi magazzini, era tutta roba andata a male, il nostro sostentamento proveniva completamente dai frutti della terra che coltivavamo. Le uscite erano molto rare e quella appena conclusa era mirata al recupero di attrezzi, vanghe, rastrelli ecc.

    Scesi dalla macchina e cercai di filarmela, non avevo voglia di sorbirmi un’altra predica da mio padre. Mio fratello, che non aveva parlato per tutto il viaggio, mi bloccò per una spalla.

    «Non farlo mai più» Disse, solo.

    Non mi diede il tempo di replicare perché come al solito sceglieva poche parole e non si tratteneva per ascoltare le risposte. Era la fotocopia di papà, sempre incazzato, sempre con lo sguardo buio e sempre per i fatti suoi, con l’immancabile katana sulle spalle. Da quando era morta Michonne, anche se non sapeva maneggiarla bene come lei, non se ne separava mai.

    Continuai per la mia strada, se fossi stata una normale adolescente avrei fatto una scenata e mi sarei chiusa nella mia stanza per ascoltare la musica, o almeno credo che questo facessero le adolescenti prima di tutto questo schifo. Doveva essere carino avere una propria stanza, o ascoltare la musica a comando. Gli altri avevano provato a farmi lezioni sulla “vita di prima”, mi avevano raccontato del Natale, del Ringraziamento, la scuola, le vacanze. Teoricamente sapevo di che cosa si trattava, lo avevo letto anche nei libri che riuscivamo a rubare qui e lì. Ma non avevo mai vissuto niente del genere, non puoi sentire la mancanza di qualcosa che non hai mai visto, perciò la mia non era nostalgia, solo una sensazione di vuoto.

    Non ero dell’umore per stare con altre persone. Fare la vedetta non era malaccio, potevi rimanere solo con i tuoi pensieri, respirare aria fresca, e sostanzialmente non succedeva mai niente di che.

    “Se ne vedi uno solo non c’è da preoccuparsi, se sono tanti urli forte, ok?”

    Ricordavo ancora la volta in cui Carol mi aveva istruita per la prima guardia da sola, mi sentivo così importante, la sicurezza di tutti dipendeva da me.

    Dal punto in cui mi trovavo riuscivo ad avere una visuale completa della vallata che ci circondava, c’erano degli erranti qui e lì ma niente di preoccupante, il cielo cominciava a presentare delle sfumature calde, tra non molto sarebbe stata notte. La notte diventavano più agitati, bisognava stare ancora più attenti a non fare rumore. Ero cresciuta con quei mostri e, nonostante questo, non provavo che pena per quei corpi a cui non era stato consentito riposare in pace.

    «Aiuto! Aiutatemi!» un grido interruppe i miei pensieri, proveniva dal fondo della valle, non riuscivo a vedere chi lo aveva emesso, ma era un essere umano, e questo mi bastava.
    Scesi di corsa dalla postazione, aggrappandomi a ciò che trovavo per essere più veloce possibile. Corsi a perdifiato verso i cancelli, Maggie mi guardò sconvolta.
    «Dove stai andando?» chiese.
    «Ho sentito una voce, qualcuno è in pericolo, dobbiamo andare» dissi senza fermarmi «Apri il cancello».
    «Te lo puoi scordare» rispose risoluta incrociando le braccia.

    Ci risiamo. Pensai
    «Apri, vado io con lei» Era la voce di mio fratello, l’unico ad appoggiarmi in questo tipo di circostanze.
    Lo guardai per ringraziarlo, ma lui non distolse lo sguardo da Maggie che riluttante si fece da parte.
    «Rimani dietro di me». Disse, prima di correre in avanti.

    Lo seguii silenziosa ma rapida, guardando in tutte le direzioni, potevano spuntare da qualunque angolo, prenderti all’improvviso. Carl si occupava di quelli che trovava sulla strada, io dovevo coprire i lati, era facile, non c’erano molti erranti, evidentemente la maggior parte si trovava nel luogo da dove proveniva l’urlo. Erano passati almeno quattro minuti da quando lo avevo sentito, probabilmente ci stavamo lanciando in una missione suicida ma ogni volta che sentivo grida di aiuto non potevo fare a meno di pensare “ E se fossi io?”
    Carl procedeva instancabile, io lo seguivo sicura, finché non capimmo di essere giunti a destinazione.
    Un’orda di erranti circondava due ragazze, erano di poco più piccole di me, erano armate ma spaventate a morte.
    Li colpimmo uno ad uno da dietro, pochi riuscirono a fiutarci, le ragazze sembravano attirarli in modo assurdo, vidi lo squarcio sulla gamba di una di loro e capii che era quello a farli impazzire.
    Una volta riacquistato un minimo di mobilità si unirono a noi nel colpire i mostri, la più piccola, quella ferita, cercava di aiutare ma era estremamente debole, l’altra, dalla somiglianza direi la sorella maggiore, le faceva da scudo. Carl era in prima linea, ne colpiva quanti più poteva con la sciabola, staccandogli la testa, io mi occupavo di quelli che non riusciva a coprire, era mio compito che nessuno di loro si avvicinasse alle sorelle.

    Avevamo creato tre cerchi difensivi, difficile vincerci. Mi concessi uno sguardo sulla sinistra, ciò che vidi non mi piacque per niente.
    «Ne arrivano altri, dobbiamo andarcene» Urlai a squarciagola. Un nutrito gruppo di erranti era a non più di cento metri da noi, dovevamo approfittare di quel poco vantaggio finché potevamo. Misi un braccio della ragazza più giovane sulle mie spalle, la sorella si posizionò dall’altro lato. Cercammo di muoverci più velocemente possibile mentre Carl rimaneva pochi passi indietro per coprirci.
    Non mi chiesero dove stavamo andando, come me erano concentrate su pochi essenziali aspetti: incamerare aria nei polmoni, muovere le gambe in modo rapido, pregare che non ne comparisse uno davanti. Il machete con l’impugnatura rossa, ben sicuro alla mia cintura, si sarebbe occupato di quella parte.

    «Apri il cancello!» Urlai quando mancavano solo pochi metri all’essere sicuri. Maggie obbedì rapida, io e le ragazze avevamo appena varcato la soglia quando sentì la voce di mio fratello. Uno dei morti lo aveva braccato da dietro, corsi nella sua direzione, impugnai l’arma, osservai bene la scena. Carl cercava di scrollarselo di dosso ma il mostro era ben saldo alla sua schiena. Erano in discesa, il peso del morto avrebbe fatto cadere entrambi e a quel punto sarebbe stato difficile occuparsene. Una roccia mi fece da trampolino e saltai, sperando di aver calibrato bene la forza. Le mie preghiere furono ascoltate, la lama si conficcò proprio nel cranio dell’essere e Carl fu nuovamente libero di muoversi.
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    «Grazie dottoressa» Disse mio fratello accennando persino un sorriso.
    «Stai bene?» Chiesi cercando di recuperare fiato.
    «Né morsi, né graffi. Ora muoviti dobbiamo rientrare»
    Sospirai di sollievo e mi concessi di riposare solo una volta chiuse le grate dietro di me.
    La nostra missione di recupero era durata non più di quindici minuti, eravamo stati veloci, gli altri avevano avuto a stento il tempo di riunirsi e prepararsi a uscire, ce li ritrovammo di fronte armati fino ai denti.
    Erano tutti furiosi, mio padre in primis, ma intuii che per ora ci saremmo concentrati sulle nostre ospiti. Fu Glenn a parlargli.
    «Siete state morse? Avete graffi?»
    «No signore, lo giuro, mia sorella è caduta, si è ferita con una roccia, non è stato uno di quelli» Rispose la maggiore con un filo di voce, sembrava più spaventata ora che prima circondata da mostri.
    «Come vi chiamate?» Chiese Carol.
    «Io sono Eliza e lei è Prim, siamo accampati vicino al fiume con nostra madre e altre persone, vi prego lasciateci andare, ci eravamo allontanate per cercare delle bacche ma non torneremo più»

    Era sempre Eliza a parlare, Prim ci osservava silenziosa, cercava di non dare a vedere che stava soffrendo parecchio, anche se dalla profondità del taglio doveva essere parecchio doloroso.
    «Non vogliamo trattenervi ma lasciaci almeno pulire la ferita di tua sorella, va bene?» Propose Carol con fare materno.

    Eliza la guardò per un lungo minuto, cercava di capire se fidarsi, poi il suo sguardo si spostò su ognuno di noi finché non incontrò quello di Rick. Avevano la stessa espressione scettica, si studiarono per qualche minuto.
    Poi lei disse «Va bene, grazie»
    «Curatele, dategli qualcosa da mangiare e mandatele via prima che faccia buio» disse mio padre «E conto che davvero non vi facciate più vedere da queste parti» Concluse prima di voltarsi, solo allora disse «Carl, Judith».

    E io che pensavo ce la saremmo scampata.

    Lo seguimmo fino alla cucina, nessuno di noi parlò nel tragitto.
    «Come vi è saltato in mente?» Disse una volta entrato nella stanza.
    L’espressione era sempre quella, occhi sgranati iniettati di sangue. Due in poche ore, doveva essere proprio il mio giorno fortunato!
    «Non vi dovete muovere dalla base, mai, per nessun motivo e di certo non da soli. E se fosse stata una trappola?» Chiese furioso.
    «Ma non lo è stata, se non fossimo intervenuti Eliza e Prim sarebbero morte». Mi difesi.
    «Siete stati fortunati, le avreste potute trovare già morte, o trasformate, o avreste potuto trovare un gruppo armato pronto ad attaccarvi, ma non avete imparato niente? Non c’è trappola più ovvia di un grido d’aiuto».
    «Ma non potevamo..»

    «Io decido chi può uscire e chi no, e per togliere ogni dubbio sul futuro sappiate che voi non potete muovervi da qui, mai» M’interruppe, poi si rivolse a Carl «Mi deludi» .
    Mio fratello aveva lo sguardo basso ma non mortificato, era il suo modo di reagire, annullare ogni reazione, diventare invisibile.

    Carol entrò nella stanza «Sono pronte a partire» disse e si allontanò cercando qualcosa negli armadietti. Probabilmente provviste da dare alle ragazzine.
    Mio padre registrò l’informazione ma non le rispose, fui io ad intervenire.
    «Hai sentito che hanno detto? C’è un gruppo di persone giù al fiume, potremo offrirgli asilo, o almeno incontrarli»
    «Incontrarli? Come puoi proporre una cosa del genere dopo tutto quello che abbiamo passato?» era sconvolto «Non avremo più a che fare con altri gruppi, il consiglio ha preso questa decisione tempo fa, lo sai bene.»

    «Sei tu ad aver preso questa decisione, è assurdo! Che senso ha andare avanti in questo modo? ». Urlai arrabbiata, sapevo che il suo voto valeva più di tutti gli altri e le sue decisioni influenzavano il pensiero di tutti.

    «Parli così perché non ricordi quello che è successo al Terminus, o con Il Governatore, non hai visto..»

    «Ho visto abbastanza! Sono nata in questa merda e la vivo come tutti voi, non mi trattare come una bambina! Non possiamo continuare così, ci state lasciando senza futuro. Voi diventerete vecchi, morirete e rimarremo solo io Scott e Carl, senza nemmeno qualcuno ad infilarci una lama nel cervello se dovessimo trasformarci, nessuno a prendersi cura di noi. Non abbiamo prospettive, non abbiamo niente. Non è questo futuro che voglio per me. Voglio vedere mio fratello innamorato, voglio diventare zia. Voglio avere dei bambini, voglio vivere in una comunità. Noi non stiamo vivendo, non stiamo nemmeno sopravvivendo, stiamo morendo più lentamente degli erranti che ci circondano, e abbiamo la loro stessa capacità di amare.» Ero un fiume in piena, come potevano essere così ciechi? Stavamo barattando la nostra umanità per la sicurezza, ma così non facevamo che condannarci all’estinzione. Forse non conoscevo la vita di un tempo ma sapevo che non era questa la strada giusta da percorrere.
    «Abbiamo un gruppo di sopravvissuti a poca distanza, diamogli una possibilità, diamo una possibilità all’Umanità, papà!»

    «Abbiamo deciso di intraprendere questa strada e non ci fermeremo. Te l’ho detto in passato e te lo ripeto di nuovo. Smettila di illuderti, sono tutti erranti, anche quelli con sembianze umane, sono tutti mostri! Ora andatevene, non avete faccende da sbrigare?».
    Carl non aspettava che di essere congedato, si volatilizzò senza darmi il tempo di seguirlo, non voleva parlarmi. Io, al contrario, trascinavo i piedi poco convinta e demoralizzata.
    Misi le mani nelle tasche e fui sorpresa dal contatto con la collana, mi ero totalmente dimenticata di averla ancora con me. La guardai, poi in un scatto di rabbia la scaraventai a terra, volevo rompere qualcosa, qualsiasi cosa, ma quella collana era così bella, che stupida. Mi chinai a raccogliere le perle che si erano ormai sparpagliate sul pavimento, quando sentì la voce di Carol provenire dalla cucina.

    «Rick, non ha tutti i torti, potremmo prendere in considerazione la cosa, accompagnare le ragazze e conoscere il loro gruppo» Disse con la sua solita voce calma.
    Mi avvicinai ancora di più alla porta per origliare, avere Carol dalla mia parte sarebbe stato un buon punto di partenza.

    «Assolutamente no. Non ci sarà nessun incontro, è del tutto fuori discussione.» Era ancora molto arrabbiato, ma Carol non ne era intimorita come me, tutto sommato, però, preferì non insistere.
    «Più cresce e più mi ricorda Lori» Disse gentile
    «… o Shane». Aggiunse mio padre.

    Shane? Il tizio che voleva uccidere papà?

    Ero sull’uscio, le perle mi caddero di nuovo dalle mani e si riversarono nella stanza, li vidi voltarsi verso di me con aria preoccupata. Ero confusa, riuscì solo a dire «Che significa?»

    Si guardarono cercando di capire cosa fare, era strano vedere il differente atteggiamento di mio padre, poco prima sembrava un vulcano in eruzione ora mi guardava come se potessi calpestarlo da un momento all’altro.

    «Forse è giusto che lo sappia» gli disse Carol, recuperata la calma.

    Lo sguardo negli occhi di mio padre era supplichevole, sembrava m’implorasse di non fargli dire qualcosa, mi sembrava così vulnerabile. Poi parlò.

    «Vedi Judith, quando sono stato in coma..» esitava «tua madre non aveva idea che fossi ancora vivo, gli era stato detto che ero morto e.. era dovuta scappare con tuo fratello, Shane gli è stato vicino l’ha aiutata..».

    «Non capisco» ed era vero, niente aveva senso in quel momento, dove voleva andare a parare?

    «Lori e Shane sono stati insieme quando non stavo bene, non è colpa di nessuno Judith, era una situazione terribile, tua madre cercava conforto e Shane ha protetto lei e Carl per tanto tempo prima che li ritrovassi e..» sospirò «Quando Lori scoprì di aspettare te non era passato molto tempo dal mio ritorno, non era sicura.. insomma che..»

    All’improvviso mi fu tutto chiaro, non era sicura di chi fossi figlia. Tutti i momenti di tristezza e di rabbia cominciarono ad avere un senso.
    Lo guardai con espressione inorridita, non riuscii a frenare le lacrime.
    «Ecco perché non mi sopporti, ecco perché mi odi. Ogni volta che mi guardi vedi la figlia di una donna infedele e dell’uomo che ha provato ad ucciderti, sono figlia dei tuoi torti subiti» era decisamente troppo da sopportare, non capivo cosa facesse più male, se la rabbia o il dolore, ogni bambino meriterebbe di nascere dall’amore, io non avevo nemmeno la certezza di appartenere ad una categoria specifica.
    Riuscii finalmente a capire come si sentivano tutti. Non conoscevo il Mondo prima della piaga, non conoscevo mia madre se non attraverso il suo utero, ma una cosa credevo di conoscerla, il suo amore per me.
    Ora la immaginavo scoprire di essere incinta, immaginavo quanto mi odiasse. Io, il frutto dei suoi errori, quelli che avrebbe voluto seppellire, crescevo dentro di lei. Per la prima volta nella mia vita capii quello che avevano provato gli altri sopravvissuti, la perdita delle certezze, i visi amici trasformatisi in mostri, la solitudine.
    «Avevi ragione» dissi guardando quello che fino a poco prima avevo creduto mio padre «…siete tutti erranti, siete tutti mostri».

    Scappai incurante dei loro richiami e uscii fuori, avrei voluto fuggire ma non potevo, era buio ormai. Eliza e Prim dovevano essere già uscite da parecchio, lo speravo per loro almeno.
    Superai l’orto e crollai sotto un albero cercando di fare chiarezza, ma invano. Optai per un molto più sano pianto disperato, cercai di cacciare fuori tutto ma sembrava che il mio dolore fosse radicato fin nel DNA, non sarebbe bastata una notte di lacrime.
    Anche nella più completa disperazione avevo i sensi allertati, così, quando sentii il rumore di passi, scattai, pronta a difendermi.
    Quello che mi trovai davanti però era solo mio fratello, anche lui sapeva, anche lui è un mostro.
    «Vattene» gli dissi brusca.

    Invece di fare dietrofront, Carl si sedette e con il palmo della mano picchiettò a terra, voleva lo imitassi. Ero troppo stanca per combattere, decisi di usare la sua stessa tecnica. Avrei guardato a terra senza proferire parola.
    «È inutile che ti chiudi a riccio sorellina, non c’è bisogno che mi rispondi, basta che mi ascolti, ok?»

    Nessuna risposta.

    Sospirò. «Quando sei nata io ero lì, lo sai no?»
    Sapevo che era stato lui a puntare un proiettile nella testa di nostra madre dopo che io l’avevo uccisa, perciò mi limitai ad annuire.
    Che figli modello.
    «Eravamo sotto attacco, mamma stava male, avevi scelto proprio un momentaccio per venire al mondo ». Forzò un sorriso, poi tornò serio.
    «Sapeva che sarebbe morta, che non ce l’avrebbe fatta, ma pregò Maggie di usare il mio coltello per cacciarti fuori, disse: “Il mio bambino deve vivere”».
    Sapevo che non era facile per lui rivivere quei momenti.
    «Tutto ciò che mamma voleva era farti nascere, per il bene di tutti noi. Eravamo così amareggiati, così incattiviti, tu sei stata il suo ultimo regalo, per ricordarci che ci poteva essere ancora del buono nel mondo, e solo a distanza di anni ho capito quanto avesse ragione».

    «Ma ha mentito» dissi tra i singhiozzi «Rick non è il mio papà, sono un’orfana».
    Mi strinse le braccia costringendomi a guardarlo «Siamo figli dello stesso padre, non m’interessa che la genetica lo confermi, è così nei fatti Judith».

    Poi mi ricordai precisamente cosa avevo sentito.

    «Nemmeno lui ci crede» urlai «Nemmeno lui crede che io sia sua figlia, pensa che sia uguale a Shane, che io sia come lui, l’uomo che credeva suo amico e che ha provato ad ucciderlo».
    I singhiozzi divennero simili a convulsioni stavolta. Era terribile, non riuscivo più a prendere il controllo, mi contorcevo come un pesce fuor d’acqua, ero a stento consapevole di dove mi trovavo. Vidi il viso di Carl farsi sempre più ansioso, cercò di farmi calmare, e lo volevo davvero, ma non ci riuscivo. Mi portò in quella che un tempo era l’infermeria e fui subito soccorsa dagli altri. Sentii il punzecchiare di un ago e poi più niente.

    Quando mi risvegliai mi sentii dolorante e confusa, non ricordavo bene cos’era successo, percepivo il mio corpo come svuotato, freddo, avvertivo calore solo nella mia mano sinistra. Aprii gli occhi e vidi che era circondata da due mani robuste e callose, la testa di Rick invece era poggiata sul lenzuolo, evidentemente aveva passato la notte al mio fianco.
    Si svegliò e mi disse preoccupato «Judith? Come stai?»
    Fu allora che ricordai, sentii lo stesso panico del giorno prima, ritrassi la mano e urlai «Vattene via, vattene via, non voglio vederti».
    «Ti prego Judith, ero arrabbiato, perdonami» m’implorò.
    «Vattene via» sentivo il respiro farsi più rapido e pesante, fu allora che intervenne Carol.
    «Lasciala riposare Rick, parlerete poi con calma».
    Uscirono entrambi dalla stanza e io sprofondai di nuovo in un sonno profondo.

    Dopo alcuni giorni di catalessi mi sentii meglio, e con un po’ di fatica ripresi a svolgere le mie mansioni, evitavo di incontrare il motivo del mio sconforto e cercavo di pensare a riprendermi. Le due ragazzine erano rimaste con noi, era venuto fuori che la ferita di Prim era più grave di quanto pensassimo, perciò, come me, era rimasta per qualche giorno a letto.
    Sia lei che Eliza, però, non vedevano l’ora di andarsene.
    «Il capo ha detto che oggi pomeriggio ci scorteranno all’accampamento, Prim non può camminare da sola» m’informò Eliza.

    Mi chiesi chi sarebbe andato con loro.
    Probabilmente Carol. Pensai.

    Per qualche strano motivo tutti erano impegnati in qualcos’altro quel pomeriggio, persino Carl era sparito dalla circolazione. Glenn, Maggie e Daryl erano a caccia e Carol aveva lamentato una forte emicrania.
    «Dovrai andare tu» mi disse poche ore dopo .

    Cercai di calmarmi e focalizzarmi sull’obiettivo: accompagnare le ragazze a casa loro. Con loro presenti, probabilmente, Rick non mi avrebbe nemmeno rivolto la parola, sarebbe stata una cosa rapida e indolore. Almeno speravo.
    Ci preparammo alla partenza. Come per l’andata, io ed Eliza ci saremmo occupati della più piccola mentre lui ci avrebbe coperte. Non avemmo grossi problemi per i primi duecento metri, qualche errante qui e lì, ma niente di cui ci si dovesse preoccupare. Dopo si fecero più numerosi e solo in un’occasione fui costretta ad abbandonare la presa di Prim per usare il machete.
    Eravamo a poche centinaia di metri dal loro accampamento, cominciavamo persino a scorgerlo quando, come un déjà-vu, si ripeté la scena di nemmeno una settimana prima. Un errante aveva colto Rick alle spalle, stavolta però non era solo, un altro gli si era parato davanti, era bloccato. Feci per prendere il machete, ma quando qualcosa andò storto, non lo sentivo più alla cintura, doveva essermi caduto nel tragitto.
    Mi guardai intorno alla ricerca di armi, presi un sasso e lo conficcai nel cranio del primo walker, dovetti sferrare più colpi per riuscire ad ucciderlo, fu uno spettacolo disgustoso, completamente diverso dalle mie altre esecuzioni. Mentre cercavo di scaraventare il corpo più lontano possibile e passare all’altro, tutto divenne più lento, vidi la bocca del mostro avvicinarsi alla spalla di Rick.

    Fu allora che urlai, era un grido disperato, non poteva finire così, non me lo sarei mai perdonato.
    «Papà! No!».
    Era lui mio padre, io ero figlia sua. La certezza mi colpì come un pugno allo stomaco. Sapevo che non ce l’avrei mai fatta, ma corsi lo stesso verso il mostro per fermarlo, non mi accorsi nemmeno della freccia che gli aveva attraversato il cranio.

    Daryl

    Si trattava proprio di lui, ci raggiunse raggiante. Non ebbi il tempo di ringraziarlo perché mi fiondai ad abbracciare mio padre.

    «Scusa papà, scusa, sono stata una sciocca, non me ne importa niente, sono figlia tua lo so». Dissi tra i singhiozzi.
    Mi strinse forte senza parlare.

    La paura di perderlo mi aveva ricordato cos’era davvero importante. Io non ho conosciuto mia madre, non ho conosciuto Shane, ma ho conosciuto Rick, mio padre, e sono grata al fato per questo.

    Aprii gli occhi mentre ero ancora tra le sue braccia, cercai con lo sguardo Daryl.
    «Grazie» riuscii solo a dire.
    «Dovere, Piccola spaccaculi»
    Sorrisi all’udire il soprannome che mi aveva dato appena nata.

    «Su, in marcia..» la voce mio padre ruppe il silenzio.

    «Possiamo anche lasciarle qui, è abbastanza sicuro» Proposi.
    Sapevo che non saremmo entrati nell’accampamento, volevamo solo assicurarci che ci arrivassero sane e salve. Le avremmo tenute d’occhio da lontano. Dal punto dove eravamo saremmo riusciti a mantenere una buona visuale e a garantirci un’eventuale via di fuga.

    «Assolutamente no...» Rispose deciso. Poggiò un braccio attorno alle mie spalle, sembrava felice, poi continuò «... oggi andiamo a dare una possibilità all’Umanità!».

    E così, sorridendo, ci incamminammo verso quello che, forse, sarebbe stato un nuovo inizio.

    Edited by Skeeter - 19/12/2014, 22:38
     
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